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Cantastorie – 02 – l’arte del dubbio contro l’ufficialità

Il mestiere del cantastorie: l’arte del dubbio contro l’ufficialità Tratto da quiUna piazza, uno sgabello o una macchina come palcoscenico, un cartellone dipinto a mano con grandi riquadri illustrati o un proiettore con diapositive per la scenografia: sono questi gli elementi, ogni volta diversi a seconda delle latitudini, dei tempi e delle opportunità, che fanno da cornice all’azione dei cantastorie. “Nati” intorno agli anni Venti del Novecento, sulla scia dei canzonettisti popolari, i cantastorie hanno accompagnato il corso della storia raccontandone i fatti salienti, le cronache, le biografie di personaggi illustri, i punti di crisi e di svolta. A cominciare da Ignazio Buttitta, grande poeta cantastorie siciliano nato all’alba del secolo scorso, passando per Orazio Strano, Turiddu Bella, Ciccio Busacca, Franco Trincale, fino ad arrivare agli artisti degli ultimi decenni come Fortunato Sindoni, Vito Santangelo, Mauro Geraci, i cantastorie sono a tutti gli effetti “cantori di modernità”, nel senso che la loro rielaborazione di eventi e storie non si lascia mai incorniciare in un quadretto folkloristico, né si presta alla replicabilità di un’interpretazione data una volta per tutte, appartenente al passato.Sono due le grandi aree italiane che hanno visto l’affermarsi della figura del cantastorie: una la Sicilia, l’altra l’area centrosettentrionale, dalla Toscana al Veneto, con frequenti scambi di testi scritti tra artisti di diversa provenienza che creano così interessanti relazioni tra Nord e Sud del paese.
La presenza significativa in Sicilia si spiega con una grande diffusione nell’isola della canzone narrativa a livello popolare già dalla fine dell’Ottocento. La canzone narrativa, di tradizione orale, non era il prodotto di un singolo cantastorie ma di una “stratificazione” di versioni nel corso del tempo. Inoltre c’era una fortissima influenza del teatro dialettale borghese, che a Napoli e a Roma prendeva il nome di pulcinellata; in Sicilia c’era invece, oltre al teatro dei Pupi, la cosiddetta vastasata, che prende il nome dal vastaso, letteralmente il “facchino”, corrispondente al servitore sciocco della commedia goldoniana, che si diffonde tra Sette e Ottocento grazie all’azione teatrale di artigiani, impiegati che ritraevano i personaggi della vita di tutti i giorni appartenenti al popolino.
Nel repertorio dei cantastorie c’è anche una forte connessione con la canzone sociale: esiste infatti un vasto repertorio di canti dell’emigrazione, delle lotte contadine e sociali. Le tecniche di declamazione sono molto simili a quelle del teatro carnevalesco siciliano; sono frequenti le mascherate in piazza, con veri e propri contrasti tra personaggi opposti. Queste tecniche sono state riprese dai cantastorie e montate in un nuovo progetto conoscitivo che si afferma a partire dal secondo decennio del Novecento.

Ovviamente il repertorio è cambiato molto da allora. All’epoca i cantastorie rappresentavano elementi di modernità nella cosiddetta cultura popolare; le storie cantate erano lunghe anche due ore e narravano soprattutto la biografia di un personaggio. Oggi invece, nonostante un cantastorie come Fortunato Sindoni canti Il contrasto tra il cristiano e il musulmano, Il contrasto tra il potente e il pescatore sulla spinosa questione del ponte sullo Stretto e Dorit & Hassan che esplora le contraddizioni del conflitto israeliano-palestinese – nel denso repertorio dei cantastorie prevalgono le ballate, brevi componimenti poetico-musicali più adatti ai dettami fulminei di oggi, con cui fatti della nostra cronaca vengono narrati e sottoposti a una pubblica riflessione di piazza. Dagli anni Settanta, con il fenomeno delfolk music revival, i cantastorie hanno riacquistato visibilità a livello nazionale. La pratica era quella di girare di piazza in piazza, con la macchina come palcoscenico ambulante: lì il cantastorie cantava arrampicato sul tetto, dopo aver magari preso appunti su quello che accadeva in paese. Artigiano della parola, la rende oggetto smerciabile anche dal punto di vista economico, con la vendita di nastri e cd. L’interesse per questa figura ibrida è recente, perché ancora venti anni fa i cantastorie erano considerati dall’accademia come dei “canzonettisti” della cultura popolare e se ne coglievano solo gli aspetti popolareschi: come dire Rugantino, e non il Pasquino.

L’intervento del cantastorie è invece – secondo Mauro Geraci, cantastorie ed antropologo – un «momento di riazzeramento morale. Il suo compito è quello di sollecitare il dubbio sulla versione ufficiale degli eventi, proporre un altro modo di leggere la storia e di straniare in senso brechtiano lo spettatore». Il cantastorie è insomma un cantore dell’esistente e non il rappresentante di un mondo in declino, da salvaguardare: più che la Baronessa di Carini – avverte ancora Geraci – il cantastorie interpreta piuttosto il mancato funerale di Welby o la guerra in Iraq o la condizione del lavoro in fabbrica. Le case dei cantastorie sono spesso dei laboratori dove si dipingono i cartelloni, si allestiscono le proiezioni di diapositive: il cantastorie rifugge in questo modo il cliché etnicista o del populista, lo stereotipo del testimone di una presunta cultura arcaica e incontaminata. D’altra parte il cantastorie affronta le storie degli altri tendendo a svestirsi della propria stessa identità, sforzandosi di essere voce di tutte le voci: con questo sentimento così poetava il grande Ignazio Buttitta nel celebre libro Io faccio il poeta: «Sugnu un ghiardinu di ciuri e mi sparto a tutti/ una cassa armonica e sòno pi tutti/ un agneddu smammatu e chianciu pi tutti agnelli smammati».

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Creuza – 1984

Cominciamo ad arare il campo:)

CREUZA de MA – 1984
Uno dei solchi l’ha tracciato indelebilmente questo LP, che a quasi trent’anni dalla sua uscita resta un punto cardinale.

La storia di Creuza può essere un buon punto di partenza? Di arrivo? No, un punto di un viaggio….io sono assolutamente erede di Omero, di MagnaGrecia e il Mediterraneo è il Nostro (appartenenza, origine, traccia…). Indico il punto video in cui Faber descrive quanto abbiano centralità le Radici…i Solchi appunto:) Non potrei, nemmeno volendo, spiegarlo meglio:):)

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