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o4. Il Cantastorie e i poemi cavallereschi in Toscana

Bruscello Qui

Il personaggio più amato ed atteso nelle grandi e fumose cucine di campagna, specialmente per Carnevale, ma anche in Quaresima era il Cantastorie , uomo estroso, memoria storica della tradizione trasmessa oralmente, buon narratore, animatore di veglie, recitava poemi cavallereschi, o rime da lui composte con uguale impegno, in occasione di sposalizi, feste campestri o in occasioni particolari, come il pranzo per la fine della trebbiatura, o per la sfogliatura del granturco.

La musica era costituita da motivi tradizionali che ritroviamo nel Bruscello attuale, nelle musiche dello Storico e del Cantastorie. Conosceva a memoria tutte le musiche ed i testi che venivano tramandati oralmente. Personaggio simpatico, certamente non astemio, attirava su di sè l’attenzione di tutto l’uditorio, dal Capoccia alla Massaia dal figlio maggiore alla sua sposa , dal nonno solitamente appostato nel cantone del focolare, al nipotino. Intorno a questo personaggio, si raccoglievano i bruscellanti ; con l’occasione egli prendeva il nome di Vecchio del Bruscello, insieme a lui i bruscellanti sceglievano il testo, il Cantastorie assegnava le parti, compresa quella femminile e cominciavano le prove, in una stalla o in un granaio. Nel periodo di Carnevale, il Bruscello iniziava la sua peregrinazione di podere in podere. La questua che seguiva la rappresentazione era destinata ad una cena di tutta la Compagnia. I Bruscelli duravano circa mezz’ora, i costumi venivano improvvisati dagli stessi bruscellanti : spade di legno, corazze di latta, cimieri di bambagia o di stoppa, scudi di cartone, giubbe rovesciate e pantaloni stretti in fondo, questi erano i costumi del Bruscello, la voce ora forte, ora stridente, l’intonazione grave, affrettata o solenne servivano a sottolineare l’intensità del sentimento o la drammaticità dell’azione. I personaggi, sia maschili che femminili, venivano interpretati da uomini, la musica veniva suonata dalla fisarmonica con accompagnamento di tamburi o cembali, violini chitarre e flauti.I Bruscelli venivano rappresentati, preferibilmente, il sabato o la domenica ; i bruscellanti arrivavano al podere in corteo ; in testa il Vecchio del Bruscello con l’arboscello in mano, dietro la musica e poi i bruscellanti che si disponevano a semicerchio ed iniziavano la recita cantando in coro l’invocazione alla Massaia che offrisse uova farina e vino per la grande mangiata. La famiglia che ospitava i bruscellanti, di solito offriva o la cena o uno spuntino ; gli spettatori, contadini dei poderi vicini, che avevano seguito i bruscellanti, portavano in dono uova, formaggio, salumi e fiaschi di vino, che venivano consumati in allegria fra canti e suoni, battute frizzanti e sberleffi. Il Bruscello veniva rappresentato nelle stalle o nei fienili, era molto apprezzato dagli spettatori, che non perdevano una battuta della recita, parteggiando per questo o quel personaggio : di solito il buono o colui che aveva subìto il torto o l’ingiustizia, e finivano per imparare a memoria i testi ripetutamente ascoltati. Il Bruscello è così giunto fino a noi mutato nella forma per la necessità di allestire uno spettacolo confacente ai gusti del popolo, ed ai suoi profondi cambiamenti.[/b] E’ un esempio di teatro popolare che vive e si trasforma, ma che rimane legato ad una tradizione che non è morta con la scomparsa del mondo contadino, ma che è sopravvissuta al suo disfacimento perché ancora prima che questo avvenisse si era già evoluta e trasformata, ed oggi dopo oltre 60 anni è sempre viva e fa rivivere sul sagrato del Duomo i suoi leggendari personaggi che l’animo popolare ha reso immortali.

 

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Cantastorie – 01. Frammenti di una storia

Tratto da qui

 

cantastorie1Discendente diretto dei menestrelli medioevali e dei musici ambulanti, che cantando portavano ovunque gli echi d’antiche gesta e incredibili prodigi, il Cantastorie è stato nel tempo una delle figure più vivaci della tradizione popolare.

Quest’ artista ambulante arrivava anche nei paesi più sperduti eseguendo un repertorio di cantiche tramandate dalla tradizione, oppure inventate e composte da lui stesso, sui temi e gli argomenti del momento.

Animava le feste popolari, s’insinuava nei balli, nelle cerimonie nuziali, nei battesimi e nelle cerimonie religiose. Nei secoli, il mestiere e l’arte dei Cantastorie, sono stati molto importanti per la diffusione d’una cultura omogenea, attraverso gli strati sociali dei diversi stati e delle diverse popolazioni della penisola italica.

Tutto sommato, l’unita d’Italia è storia recente.

Per secoli la nostra penisola è stata un caleidoscopio di piccoli stati con proprie leggi, monete e spesso con proprie culture.
La comprensione di questo fatto, permette di dare al Cantastorie un particolare rilievo, inserendolo nei vari eventi culturali che nel passare dei secoli. permisero la diffusione e lo sviluppo di una informazione culturale unitaria e quindi nazionale.

Evidentemente l’influsso del Cantastorie, non ebbe carattere politico ma semmai poetico; lui era il modesto e inconscio portatore d’una informazione culturale alla quale tutti, analfabeti inclusi, potevano accedere.

Era il propagatore e il campione della cultura orale, era una delle poche fonti di riferimento che aveva il popolo analfabeta per sapere ciò che accadeva altrove, e per altrove intendo ciò che accadeva fuori dalle mura della città, oltre l’orizzonte, in altri luoghi e altri mondi.

E il mondo a quei tempi doveva apparire davvero grande, misterioso e pieno di avvenimenti magici.[i] Il pubblico delle piazze che accorreva ad ascoltare le sue storie che spesso riguardavano anche avvenimenti politici, memorizzava facilmente le semplici rime che le componevano.

Grazie alla facile memorizzazione le storie potevano poi essere ripetute ad altra gente.

In questo modo le storie dei Cantastorie viaggiavano di bocca in bocca, si espandevano e penetravano fin dentro le case.
L’arte poetica dei Cantastorie, ha attraversato in modo orizzontale l’intera società.

Egli si esibiva ovunque potesse appoggiare la sua piccola panca (da qui anche il nome di Cantimpanca o Cantimbanco), e salito sopra questo minuscolo palcoscenico, spesso grande poco più dei suoi piedi, egli lanciava al pubblico, nobile, borghese, proletario che fosse, il suo canto e le sue storie.

BREVE GENEALOGIA

Passiamo ora all’albero genealogico dei Cantastorie, le cui radici credo antiche quanto la storia dell’uomo, così come credo che il desiderio di raccontare storie sia nato con l’uomo.

Innanzitutto dobbiamo tenere presente un dato importante: il Cantastorie è un artista di piazza. Questo significa che le sue origini, si mischiano con quelle di tutti gli altri artisti, che nel tempo hanno agito o si sono evoluti, partendo da quel particolare spazio sociale che è la piazza.

I dati storici comunemente accettati, fanno idealmente partire la storia degli artisti di piazza dall’epoca romana.

Dato questo presupposto, si può dire che il Cantastorie è un discendente naturale degli antichi Histriones, parola con la quale si denominavano gli attori romani.

Il termine Histriones sembrerebbe di origine latina; dico sembrerebbe perché Tito Livio (59 a.C.) nel volume VII delle Storie, sostiene che Histrio era parola di origine etrusca, indicante gli attori etruschi che nel 364 a.C. andavano a Roma per prendere parte ai ludi scenici e che, in gruppi o singoli, si esibivano in vari luoghi.

Solo in seguito diventò termine generale indicante anche gli attori romani.
Attraverso i tempi numerose sono le ramificazioni che si sviluppano da questo primo tronco, e che quindi interessano l’evoluzione dei Cantastorie.
Egli è anche l’erede della stirpe dei Giullari, un genere di musici – attori – buffoni, che allietarono piazze e castelli tra il 1200 e il 1300.

Questi cantavano, ballavano, suonavano, recitavano monologhi drammatizzati utilizzando travestimenti e maschere.

Alcuni giullari di aspetto deforme, come i gobbi e i nani, trovarono collocazione fissa nei palazzi dei nobili, diventando buffoni di corte.

Altri mantennero una propria indipendenza, agendo nelle piazze in occasione delle fiere e delle numerose feste, dove cantavano antiche leggende, storie amorose, scherzose e lascive.
Molto amati dal popolo, ebbero un periodo di grande trionfo, tanto da essere chiamati a recitare i loro monologhi anche dentro le chiese.
Ma furono poi bollati d’infamia da numerosi predicatori e paragonati al diavolo, a causa dei grotteschi travestimenti e delle maschere caricaturali.
Scomparsi i Giullari, nelle piazze trova spazio una generica folla di giocolieri, funamboli, ammaestratori, ciarlatani da fiera, suonatori e cantatori di cui le antiche cronache già attestano l’esistenza nei vari territori della penisola italica fin dal 540.

Altra ramificazione è quella dei Menestrelli che erano praticamente uomini di corte, veri e propri cortigiani che nella maggior parte dei casi operarono all’interno dei palazzi.
Questi era a diretto servizio del nobile che l’ospitava e del quale, nelle canzoni, esaltava le gesta e cantava la magnificenza; si occupava inoltre di allietare con musiche, danze figurate e canzoni d’amore, le feste di dame e cavalieri.

Un altro ramo molto rigoglioso e importante è quello dei Trovadori provenzali, che fuggiti dalla Francia per le numerose persecuzioni religiose in atto nella Provenza del 1200, trovarono nei piccoli stati italici – in particolare Bologna, Firenze e in Sicilia – nuova fortuna e impulso, tanto che la loro arte fiorì e si diffuse lungo tutta la penisola fin verso il 1400.

L’ arte e la cultura dei Trovatori influirono anche nello sviluppo di importanti generi poetici come lo Stilnovo.
Quest’ influsso lo si avverte nell’opera di grandi poeti del 1300, come Dante e Petrarca, nel Boccaccio delle rime, e nel 1400 nelle opere del Poliziano e Lorenzo il Magnifico.
I Trovatori, fecero conoscere in Italia anche il genere delle cantafavole di origine orientale e il canto epico/ narrativo, attraverso i quali in seguito si svilupparono in Italia diversi cicli di racconti:
il Ciclo Religioso, con storie elaborate dalla Bibbia,
il Ciclo Classico, con storie di origine greco – latina e con personaggi di derivazione omerica,
il Ciclo Bretone dedicato a Re Artù e i Cavalieri della Tavola Rotonda
il Ciclo Carolingio dedicato a Carlo Magno e alle Crociate,
da cui poi scaturì la Storia dei Paladini di Francia, le cui avventure ancora oggi sono narrate nei teatri di Pupi Siciliani.

Ma è nel tardo 1500 che tra i tanti artisti di piazza, si comincia a distinguere con precisione la figura dei Cantastorie.
Il suo tratto iconografico assume personalità e individualità tanto da diventare un artista a se stante ed è così che arriva fino al primo novecento, per diventare anche un nostro contemporaneo.

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