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06. La tradizione del Maggio in Toscana

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La tradizione del Maggio

La tradizione del “maggio” che si festeggia ancora in Toscana deriva dalla antiche feste pagane, dedicate alla dea Flora, con cui si accoglieva la stagione pri

maverile. L’etimologia del maggio è legata a Maja, una delle più antiche divinità laziali, la madre di Ermes di origine greca; questa dea della fertilità agreste nel Medioevo subì l’influsso delle popolazioni nordiche che introdussero nel rito centrale della festa l’albero, simbolo di rigenerazione e di forza, che ancora oggi compare in tutte le manifestazioni dove si celebra la ricorrenza.

Ci sono due forme con cui si celebrano questi riti, la prima prende il nome di maggio lirico, la seconda maggio drammatico.
Il maggio lirico si svolge nella notte fra il 30 aprile e il primo maggio (l’antico calendimaggio): gruppi organizzati si muovono per poderi e case della campagna: quello drammatico è invece una vera e propria rappresentazione scenica con tanto di testo basato su una storia cavalleresca, mitologica o religiosa.

IL MAGGIO LIRICO

Testimonianze di queste rappresentazioni sono assai diffuse e ben conosciute nella letteratura, non solo popolare. In Toscana fin dai tempi di Lorenzo il Magnifico si organizzano manifestazioni per celebrare l’inizio della stagione “dei fiori”. L’usanza di offrire un alberello alla donna amata, portandolo davanti alla sua abitazione ed accompagnando il gesto con poesie e musica è testimoniato da illustrazioni e testi scritti:
Ben venga Maggio
e il gonfalon selvaggio,
cantava in una sua lirica Agnolo Poliziano. Da alloro l’usanza si tramanda nei secoli fino ai nostri giorni. Valga per tutte questo “coro di contadini” del XVII secolo tratto dalla Serenata rustico civile (fatta a varie ville di Castello la sera antecedente al primo giorno 1° di maggio). Si tratta di un canto di maggio scritto da Francesco Baldovini ed inserito in un suo dramma scherzoso; la maledizione che conclude questa serenata è ancora oggi attuale nelle maggiolate toscane, in particolare nel Mugello.

TRUPPA DI CONTADINI

No’ siam gente tribolata,
fame e sete ci trascina ;
e giugnendo ov’è brigata
facciam festa alla cucina ;

diamo altrui spasso e piacere
ma vogliam mangiare e bere.

Però dateci frittate,
quarti a lesso, e quarti arrosto,
uova, cacio, e carbonate,
mangeremo il sol d’Agosto.
Non è tempo d’indugiare
date quae, che state a fare ?

Chi ci dona è un uom galante
e di collo non ci casca,

chi non vien poi di portante
no’ l’abbiam di posta in tasca.
Chi ci dà molto più riabbia
chi non dà gli dia la rabbia
chi non dà gli dia la rabbia.

Ed ecco riproposta la maledizione in un moderno canto di maggio proveniente da Barberino di Mugello, con le strofe che augurano la mala sorte a chi non offre doni:

Che v’entrasse la volpe nel pollaio
E vi mangiasse tutte le galline

Che v’entrassero i topi nel granaio
E vi muffisse il vin nelle cantine
Un accidente al padre e uno alla figlia
E il rimanente a tutta la famiglia.

Anche canti e balli accompagnavano fin dai tempi più remoti la sera del calendimaggio, come questa antica quartina che è stata rintracciata in una canzone del maggio datata 1614:
Lasciamo ir malinconia
Da che poi di Maggio siamo
Canti e balli noi facciamo

Quel ch’ha esser convien che sia.

Così ancora oggi, riprendendo le antiche usanze, in varie parti della Toscana (Mugello e Maremma ma anche lucchesìa e pisano) gruppi di giovani e di fanciulle fra la notte del 30 aprile e il primo di maggio, si recano di casa in casa, nelle aie dei contadini accompagnandosi con suoni e canti. Ad ogni visita il poeta chiede con una o più ottave improvvisate il permesso di entrare, celebrando le lodi della famiglia e augurando una buona annata di raccolti, mentre uno del gruppo detto alberaio reca l’albero (in antico majo), simbolo di felicità e di buon augurio; dopo il saluto si chiederanno con un canto di questua doni in natura (oggi si accetta anche il denaro), magari salutando con una serenata le fanciulle o le signore presenti. Con i doni raccolti (in grosso corbello portato a spalla dal corbellaio) si organizzerà poi la ribotta, festa collettiva con pranzo a cui intervengono tutti i maggerini (o maggiaioli) ma anche chi ha portato doni e desidera partecipare al rito collettivo. In Maremma questa tradizione è ancora molto sentita e raccoglie sempre ampi consensi da parte della popolazione non solo rurale.
Tutti gli anni il poeta, su tematiche contemporanee, compone un nuovo testo che si accompagna alla musica rituale.
La squadra dei maggerini, ognuna nel suo costume tradizionale, può variare a secondo dei luoghi; generalmente è composta da uno o più poeti, dall’ alberaio che reca l’albero simbolo della fertilità, dal corbellaio che è addetto alla raccolta dei doni; seguono i musicisti con gli strumenti (fisarmonica) e i maggerini cantori; in epoca recente sono stati accolti nel gruppo anche le donne che prima non vi prendevano parte.
Aggiungiamo a questa usanza, che viene detta del maggio profano, una variante religiosa: il maggio sacro o delle anime purganti, dove invece di propiziarsi con canti e balli la buona stagione, si chiede un suffragio per le anime dei defunti, celebrazioni simili si svolgono ancora nel Mugello con estensione anche al di là dell’Appennino toscano, dove esiste, nel modenese, un maggio delle ragazze. Anche in questa forma si ripete il rito della questua.
Da segnalare che il repertorio di canti viene quasi sempre offerto dal gruppo agli ospiti pubblicato in fogli volanti se non addirittura libretti stampati.

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